sabato 13 giugno 2009

Ddl Alfano: un mostro che azzoppa i giornalisti

Il 10 giugno, pochi giorni fa, la Camera ha approvato la fiducia al governo sul ddl Alfano per limitare le intercettazioni. Il risultato della votazione ha scatenato un putiferio di polemiche e critiche, a ragion veduta aggiungerei. Il punto dello scontro riguarda l'evidente contrasto delle norme con l'art. 21 della Costituzione che sancisce la libertà di stampa. Il ddl prevede pene per i giornalisti che si rendano colpevoli di qualsiasi violazione dei pesanti divieti previsti. In pratica, con il divieto di diffondere informazioni su qualsiasi scandalo fino alla conclusione del processo (che qui in Italia di solito dura poco...), la cronaca giudiziaria, ripristinata dopo il ventennio fascista, non esisterà più. Qualcuno amaramente osserva che "lo scandalo delle feste in Sardegna ha accelerato il bisogno della maggioranza berlusconiana di chiudere la partita con i giornalisti e i magistrati e togliere dall'ordine del giorno quello che rimane del dibattito dell'opinione pubblica sugli scandali di un capo del governo che ci fa essere lo zimbello dell'Europa unita".

L'Associazione Nazionale Magistrati ha prodotto un documento intitolato "la morte della giustizia penale in Italia", perchè "le norme sulle intercettazioni impediranno alle forze di polizia e alla magistratura di individuare i responsabili di reati gravissimi... Si tratta di una proposta che non introduce le riforme necessarie ad assicurare l'efficienza del processo, ma addirittura inserisce nuovi, inutili formalismi, che determineranno un ulteriore allungamento dei tempi del processo. La conseguente non ragionevole durata di troppi processi si traduce di fatto nella negazione dei diritti fondamentali e in nuove forme di giustizia privata".

Vera Lamonica, segretaria confederale Cigl, parla di un "vero e proprio regalo alle mafie e all'illegalità". Lorenzo del Boca e Enzo Iacopino, presidente e segretario del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, hanno definito il disegno legge un "mostro che azzoppa i giornalisti". Il guidizio del segretario Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana), Franco Siddi, è che questo voto "è una bruttissima notizia per l'Italia, per l'informazione, per la sua autonomia violentemente incise da un muro di divieti allo scopo di impedire la pubblicazione di notizie che contano per la salute civica". La Fnsi, unitamente con la Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali), ha stilato un appello, "dovere d'informare - diritto di sapere", al Parlamento, a tutte le forze politiche e all'opinione pubblica.

Con le citazioni di pareri autorevoli potrei riempire una ventina di post (tranquilli, non lo farò), ma non credo ci sia bisogno di farci convincere da figure competenti del fatto che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato in quello che sta succedendo. Di Pietro ha affermato che "servono le piazze, i cittadini, la disubbidienza civile". Si stanno organizzando petizioni e manifestazioni, in molti si stanno muovendo. In particolare, l'associazione Art. 21, attraverso il suo sito, chiederà a tutte le forze politiche e associative di promuovere, in occasione della discussione al Senato (dove passerà il testo approvato dalla Camera) una manifestazione nazionale dedicata alla tutela dei valori costituzionali. Sarebbe bello credere che "le piazze e i cittadini" servano ancora a qualcosa, ma dalla mia magra esperienza ho paura che non sia affatto così.

1 commento:

  1. E' finita [ma spero sempre di sbagliarmi] l'Italia che ha le palle e reagisce. Gli italiani si calano le braghe, diventano sempre più permissivi mentre tutte le libertà scompaiono, non tanto piano piano, non tanto una per volta. E' uno schifo.

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